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Articolo apparso nella rivista «Alternative» - anno 1 numero 2
Le opere di Foucault citate sono nominate con le seguenti sigle: dTaC = Dalle torture alle celle, ed.Lerici 1979 AdelS = Archeologia del Sapere, ed.Rizzoli 1980 R = Résumé des cours, ed.BFS 1994 TdS = Tecnologie del sé, ed.Boringhieri 1992 VdS = Volontà di sapere, ed.Feltrinelli 1988 P = introduzione al Panopticon di Bentham, ed.Marsilio 1983 FOUCAULT DOPO LA MORTE DELLA SINISTRA"So che quello che dico è presuntuoso, ma è una prova di verità, di verità politica (sott. nostra), tangibile, una verità che ha avuto inizio dopo che il libro è stato scritto. Spero che la verità dei miei libri sia nell'avvenire".
(da Foucault étudie la raison d'Etat, in Dits et écrits, ed.Gallimard, Paris 1994, Vol.IV, p.41)
Così Foucault parlando dell'effetto che hanno i suoi testi, in questo caso in riferimento ad alcune proteste avvenute nelle prigioni francesi, dove i detenuti leggevano ed usavano i suoi libri.
Di Foucault si può parlare in vari modi. I suoi testi aprono un ventaglio di possibili interpretazioni molto ampio. Anche noi abbiamo dunque deciso di dare un taglio particolare alla nostra lettura, che naturalmente non pretendiamo sia l'unico né il migliore. Può servire, forse, ad esplicitare una verità (politica) dei libri foucaultiani, che hanno, per quanto ci è dato di capire, un occhio di riguardo per l'avvenire.
LA MORTE DELLA SINISTRAC'è un dibattito triste in cui la "sinistra" più o meno rivoluzionaria è impelagata dalla notte dei tempi: è il dibattito sulle ragioni della sua sconfitta. Ci sono i distinguo e le posizioni sottili, le spiegazioni strutturali e quelle soggettive, ma nel complesso l'insieme risulta noioso e soprattutto inutile. Perché non impostare la questione in tutt'altro modo, per esempio: "Finalmente la sinistra è stata sconfitta"? Probabilmente un approccio del genere consentirebbe infine di ritrovare quella distanza critica dall'oggetto che garantisce dal far funzionare coattivamente, in modo irriflesso, quel sistema grigio di riferimenti e di "acquisiti" che sta a monte del modo stesso di procedere alla classificazione dei problemi. Non possiamo più farci condurre dall'"ovvio" e dal "naturale", dobbiamo finalmente essere capaci di scompaginare in profondità le costruzioni intellettuali, gli ordini scontati, le continuità indubitabili. Perché allora non impostare una riflessione critica sulla sinistra che muova dalla liberatoria constatazione del suo decesso? Anziché con forsennato accanimento terapeutico, la critica della sinistra potrebbe finalmente svilupparsi sulla base di una serena scelta di eutanasia. Con spirito finalmente libero si potrebbe allora tentare di cartografare il quadro clinico del moribondo, le patologie croniche che l'hanno accompagnato fin da principio e che restavano silenziosamente presenti. C'è tutto un patrimonio genetico di categorie e di assunti che si è via via naturalizzato e che ci appare costitutivo della sinistra, un corredo di riferimenti che pulsava vitale nel bel tempo antico delle grandi battaglie della sinistra e che improvvisamente si è rivelato un fardello insopportabile da cui è imprescindibile separarsi.Forse la categoria mitica della democrazia è quella che meglio di ogni altra può essere considerata come l'architrave dei principali assunti di riferimento della sinistra. La democrazia è divenuta un dato naturale per la sinistra, un'ovvietà che ormai non ha più bisogno di essere spiegata. Intangibile, la democrazia ha veicolato nella sinistra un intero sistema di categorie, più ancora un sistema di a-priori che ha delimitato rigidamente le pratiche possibili della sovversione, gettando in un cono d'ombra altre pratiche e altri spazi. L'intangibilità della democrazia ha reso invisibile, ovvietà contro ovvietà, che essa non è altro che un dispositivo di governo.(2) Assumere la democrazia ha significato per la sinistra assumere come un dato naturale la necessità di un dispositivo di governo. Non ci si chiede più perché governare chi. Il problema dell'emancipazione globale che la modernizzazione capitalistica poneva, problema che è alle origini dell'esistenza stessa della sinistra, si è via via ridotto al problema dell'emancipazione politica. A sua volta la pratica politica, mediante il raffinato dispositivo della democrazia, si è costituita in uno spazio rigidamente delimitato, quello della sfera statale.(3) La visione mitica della democrazia ha compiuto il miracolo: l'identificazione senza smagliature tra spazio pubblico e sfera statale. La storia della sinistra è la storia della progressiva riduzione delle pratiche di lotta del movimento operaio alla pratica politica, e di questa a quella parlamentare.(4) La pratica politica e la pratica parlamentare hanno finito per rovesciare il rapporto funzionale che le legava al problema dell'emancipazione. Non è più in funzione dell'emancipazione che si attuano le pratiche politiche e parlamentari. Adesso non si riesce più a concepire le pratiche della "sovversione" indipendentemente e fuori dello spazio chiuso costituito dal dispositivo della democrazia e delle pratiche statuali. La sinistra è morta quando alcuni mutamenti reali hanno reso completamente obsolete, in funzione dell'emancipazione e della sovversione, le pratiche parlamentari e in generale le pratiche politiche. Costituita nello spazio statuale, la pratica politica della sinistra è stata irrimediabilmente spiazzata dalla deriva altrove della sfera pubblica. Non è semplice definire il quadro esatto e le implicazioni complessive di questa "deriva altrove" della sfera pubblica in rapporto allo spazio statale. Le faglie della rottura sono molteplici, incerto il senso del movimento. Quello che appare più in rilievo è l'esaurirsi della sfera statale sul terreno dell'amministrazione. A monte di questo fenomeno sembra esservi un insieme di processi distinti. Possiamo indicare quattro corpi fondamentali che incidono diversamente ma contemporaneamente sull'assetto e sul ruolo dello Stato:
L'adesione acritica e incondizionata al dispositivo democratico si accoppia con l'atteggiamento fideistico nei confronti dell'opinione pubblica. Esse si riflettono a vicenda, sono una il supporto dell'altra. La democrazia ha senso solo se l'opinione pubblica incarna la verità. Reciprocamente, la verità dell'opinione pubblica è la democrazia. A scavare dietro ad entrambe si finisce inevitabilmente per trovare il pregiudizio illuminista, la fede incondizionata nella Ragione. L'opinione pubblica è sacra, essa incarna agli occhi della sinistra il maggiore degli dèi, la "sovranità del popolo". Al suo cospetto la sinistra si è prostrata. Ma c'è un grandioso fenomeno che nel XX secolo ha completamente scardinato i dati originari sui quali una certa funzione e una certa natura dell'opinione pubblica si erano costituite: è il fenomeno delle comunicazioni di massa e della costituzione dell'informazione come merce. Con l'avvento dei media l'opinione pubblica, che un tempo poteva anche rispecchiare un popolo quale il lento limare delle culture definiva, è finalmente divenuta una merce essa stessa: risultato di un particolarissimo processo di produzione, veicolo strategico per la realizzazione e la riproduzione generale del plusvalore. Rimettersi all'opinione pubblica come presuppone la democrazia, significa santificare le proprie catene. Nell'epoca della produzione massificata in tempi reali dell'opinione pubblica le chances delle pratiche della sovversione derivano dalla capacità di scomporre le forme date delle soggettività e di costituire nuovi processi di soggettivazione. Indipendenti dai canali dominanti di produzione e di organizzazione delle soggettività, centrati sulla costituzione e sull'inseguimento di una sfera pubblica non statale, questi nuovi processi di soggettivazione si danno come i nodi di un ampio tessuto di relazioni, di interazione tra pratiche, di ricostituzione dei legami sociali. FOUCAULT"Ma voi pensate davvero che io ci metterei tanta fatica e tanto piacere a scrivere, credete che mi ci sarei buttato ostinatamente a testa bassa, se non mi preparassi - con mano un po' febbrile - il labirinto in cui avventurarmi, in cui spostare il mio discorso, aprirgli dei cunicoli, sotterrarlo lontano da lui stesso, trovargli degli strapiombi che riassumano e deformino il suo percorso, in modo da perdermici e comparire finalmente davanti ad occhi che non dovrò più incontrare?" (dall'Archeologia del sapere - introduzione p.24)
Per separarsi dalla sinistra è innanzitutto necessaria una certa attitudine intellettuale, una certa capacità di osservare con occhio sovversivo tutta una congerie di riferimenti, di abitudini mentali, di ovvietà mai messe in discussione. Il pensiero di Michel Foucault ha questa caratteristica straordinaria, è il pensiero della sovversione, è la sovversione che pensa.
(5) C'è un procedere per scarti, per inversioni; dopo minuziose peregrinazioni intorno a fili sottili che si dipanano per secoli, ecco improvvisamente aprirsi spazi analitici imprevedibili, quasi che fosse impossibile per il pensiero seguire ordinatamente il suo corso senza slittamenti, fratture, balzi. Ogni indagine sembra esigere uno scavo a ritroso e (ma non è alla ricerca di un origine che si lavora!) ogni indagine mette capo alla apertura di nuovi campi, ognuno ben delimitato ma nessuno indipendente. Il corpo a corpo ingaggiato dal filosofo francese con tutto ciò che è stabilizzato, con tutto ciò che è acquisito e indubitabile ci è sembrata una altissima indicazione di metodo. È con questo metodo che Foucault si è cimentato con la critica dei moderni dispositivi di governo, dissolvendo l'unità dei grandi apparati che fanno perno sullo Stato moderno e mostrando la fitta trama delle relazioni tra poteri e saperi sulla quale questi grandi apparati si costituiscono.
Leggendo il Résumé des cours è possibile seguire l'insieme dei passaggi, degli slittamenti e dei salti che scandiscono la ricerca di M. Foucault. A partire dal corso '75-76 Foucault tende a dare un carattere generale ai risultati che negli anni precedenti aveva ottenuto studiando "la formazione di certi tipi di sapere a partire dalle matrici giuridico-politiche che hanno dato loro i natali e che servono loro da supporto". (R 19) In quest'ultimo lavoro era via via emerso lo stretto legame tra saperi e poteri, e insieme alcune caratteristiche specifiche dei dispositivi di potere che imponevano di rompere il modello giuridico della sovranità. Proprio nel corso del '75-76 troviamo un passo fondamentale che traccia l'insieme della strategia di indagine qual è emersa dallo studio dei rapporti tra saperi e poteri: "Per portare avanti l'analisi concreta dei rapporti di potere, bisogna abbandonare il modello giuridico della sovranità. Quest'ultimo presuppone, infatti, l'individuo come soggetto dei diritti naturali o dei poteri primitivi; si dà per obbiettivo rendere conto della genesi ideale dello Stato; infine fa della legge la manifestazione fondamentale del potere. Occorrerebbe provare a studiare il potere non a partire dai termini primitivi della relazione, ma a partire dalla relazione stessa in quanto determinatrice degli elementi verso i quali conduce: piuttosto che domandare a soggetti ideali che cosa hanno potuto cedere di se stessi o dei loro poteri per lasciarsi assoggettare, bisogna cercare come le relazioni di assoggettamento possono fabbricare soggetti. Allo stesso modo, piuttosto che cercare la forma unica, il punto centrale da cui tutte le forme di potere derivano per via di conseguenza o di sviluppo, bisogna dapprima lasciarle valere nella loro molteplicità, nella loro differenza, la loro specificità, la loro reversibilità: studiarle dunque come rapporti di forza che si incrociano, rinviano gli uni agli altri, convergono o al contrario si oppongono e tendono ad annullarsi". (R 57)
Foucault tematizza in questo modo i due nuovi campi di ricerca su cui lavorerà per il resto della sua vita. Da una parte c'è la questione del potere, indagata al di fuori del modello della sovranità, nei suoi meccanismi produttivi (anziché repressivi) e microfisici. Dall'altra la questione del soggetto, la questione di come i rapporti di potere possono fabbricare di volta in volta le forme della soggettività e dell'individualizzazione. Il nuovo ciclo di studi che Foucault avvia con i corsi successivi al 75-76, il cui baricentro è la formazione storica di un "governo dei viventi", costituisce insieme il momento di passaggio e di collegamento fra queste due tematiche.
L'interesse di queste ricerche, dal nostro punto di vista, in rapporto al problema della democrazia, è proprio quello di svelare il carattere specifico, di soluzione concreta a una serie di problemi concreti, dei dispositivi di governo. Seguendo la nozione di governo dei viventi lungo il corso dei secoli Foucault individua i momenti di rottura e i problemi specifici che mettono capo ad un certo tipo di governamentalità politica: passaggio dal potere pastorale ad una nuova matrice di razionalità nell'esercizio della sovranità e del governo degli uomini.(6) I dispositivi di governo che si vanno strutturando tra il XVI e il XVII secolo si situano alla congiunzione di alcune grandi "tecnologie", di alcuni grandiosi processi storici che mutano in profondità gli assetti, le forme, le premesse stesse dell'esercizio del governo sui viventi. Al centro di tutti questi smottamenti vi è l'affermazione dello Stato moderno.
Quello che colpisce Foucault è il legame tra questo lento processo di affermazione e costituzione dello Stato moderno e il sorgere della "questione della popolazione". L'insieme dei viventi diviene una popolazione, una premessa ed una risorsa per il nuovo assetto economico sociale che si va affermando. Foucault mette in luce il movimento, simultaneo e reciprocamente implicantesi, delle relazioni microfisiche dei poteri che costituiscono e disciplinano questa nuova figura della "popolazione", e i grandi processi economici e sociali della modernità. Lo Stato moderno è inconcepibile a prescindere da quel complesso processo di costituzione di nuovi saperi e nuovi poteri che attraversano e preludono alla sua affermazione, diventa inspiegabile se non si segue l'irrompere sulla scena storica di tutta una "tecnologia delle forze statali", alle quali rimanda ed è legata per esempio la Polizeiwissenschaft, "ovvero, la teoria e l'analisi di tutto 'ciò che tende ad affermare ed a aumentare la potenza dello Stato, a fare un buon impiego delle sue forze, a procurare la felicità dei suoi sudditi' e principalmente 'il mantenimento dell'ordine e della disciplina..." (R 69), o la Medizinische Polizei o Hygiène publique in Francia, e cioè la scienza che cura la salute e l'igiene dei viventi. Note:
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